Crisi di impresa: transazione fiscale e concordato, novità per il surplus finanziario prodotto

09 ottobre 2019

Crisi di impresa: transazione fiscale e concordato, novità per il surplus finanziario prodotto

L’Agenzia delle Entrate ha sottolineato nuovi aspetti della disciplina della transazione fiscale, nell’ambito della crisi di impresa.

L’esame più importante afferisce il problema della natura endogena o di nuova finanza (o «surplus concordatario») dei flussi generati dalla prosecuzione dell’attività d’impresa nell’ambito di un concordato preventivo in continuità, dalla cui soluzione si producono i due rilevanti aspetti della:

  • convenienza della proposta di transazione fiscale rispetto all’alternativa della liquidazione;
  • distribuzione ai creditori del patrimonio del debitore.

La circolare del 2018

Con la circolare 16/E/2018 l’Agenzia aveva affermato che i flussi generati dalla prosecuzione dell’attività avrebbero avuto natura “endogena”, non derivando da un apporto esterno. Dunque sarebbero stati da considerare parte del patrimonio dell’impresa sia per:

a)     determinare il valore del patrimonio realizzabile in caso di liquidazione che – in base alla Legge Fallimentare – deve essere comparato con l’offerta formulata al Fisco dall’impresa debitrice tramite la proposta di transazione fiscale, per dimostrare la necessaria convenienza per l’Erario (rispetto all’alternativa della liquidazione dell’impresa);

b)     stabilire se tali flussi possono essere destinati liberamente dall’impresa debitrice al soddisfacimento di alcuni crediti anziché di altri, posto che il patrimonio endogeno, a differenza di quello esogeno, deve essere usato per pagare i creditori secondo l’ordine della cause di prelazione previste dalla legge e non liberamente.

L’Agenzia pur mantenendo la valutazione dei flussi come endogeni afferma ora che di questi non va tenuto conto per la comparazione richiamata al primo dei due punti precedenti.

La distribuzione dei proventi

Novità da parte dell’Agenzia anche sulla distribuzione ai creditori dei flussi generati dalla prosecuzione dell’attività dell’impresa. Tale distribuzione presenta nel concordato preventivo in continuità due profili critici:

1)     la concorrenza dei flussi generati dalla prosecuzione dell’attività d’impresa alla formazione del patrimonio del debitore

2)     il criterio applicabile per questa distribuzione.

Sul primo profilo, secondo l’Agenzia delle Entrate è rilevante il principio per cui la prosecuzione dell’attività d’impresa non comporta il venir meno della garanzia patrimoniale del debitore (che risponde dei suoi debiti con tutti i beni, presenti e futuri) e quindi, a parere dell’Agenzia, la prosecuzione non crea un patrimonio riservato in favore di alcuni creditori; né sarebbe consentito azzerare mediante il concordato il rispetto dei gradi di privilegio previsti dalla legge. A mente di questa impostazione, il patrimonio con cui il debitore risponde dei suoi debiti — secondo l’ordine dei privilegi — è costituito anche dai suddetti flussi.

La distribuzione dei proventi

Secondo autorevole e prevalente interpretazione, tuttavia, tale tesi non sembra considerare che:

  • la regola generale dell’attribuzione ai creditori privilegiati di tutto il patrimonio del debitore fino a concorrenza dei loro crediti posta dalla legge fallimentare deve essere nel concordato in continuità limitata alla data della presentazione della domanda di concordato e al patrimonio del debitore esistente in quel momento;
  • la verifica della violazione o meno dell’ordine della prelazione deve essere eseguita con riferimento alla data di presentazione della domanda di concordato, perché è valutabile ai fini della capienza solo il patrimonio del debitore esistente in quel preciso momento, e non quello che residuerà. Infatti, senza concordato il risanamento non sussisterebbe, o avrebbe una ben diversa consistenza, e certamente non sussisterebbero i flussi generabili dalla continuità dell’attività, che è incompatibile con la liquidazione;
  • la natura esogena di un’entrata non dipende inoltre dalla fonte dalla quale quest’ultima proviene, ma dal maggior valore generato dalla prosecuzione dell’attività.

A questo punto corre l’obbligo di determinare il criterio di distribuzione del patrimonio destinato a soddisfare i creditori:

        I.            in base a una prima interpretazione della norma, non può essere pagato un creditore privilegiato di grado inferiore, e a maggior ragione un creditore chirografario (cioè privo di alcuna “garanzia”), se prima non sono stati integralmente soddisfatti i creditori privilegiati di rango superiore;

     II.            in base a una seconda interpretazione, invece, è possibile pagare i creditori privilegiati di rango inferiore e chirografari, anche se i crediti privilegiati di grado superiore non sono stati integralmente soddisfatti, purché questi ultimi siano stati pagati i misura superiore rispetto ai sottostanti. In sostanza se Tizio ha un credito di rango superiore a Caio, Tizio deve accettare un pagamento parziale del proprio credito (ad esempio il 60%) se Caio è pagato in una misura percentuale inferiore alla sua (ad esempio il 40%).

Il nuovo orientamento dell’Agenzia delle Entrate

L’Agenzia delle Entrate, pur continuando ad aderire all’indirizzo che esclude la natura di nuova finanza dei flussi generati dalla prosecuzione dell’attività d’impresa, si orienta ora verso la tesi indicata nel precedente pinto II.

Ne consegue che, ai fini dell’approvazione della proposta di transazione fiscale formulata nell’ambito di un concordato preventivo in continuità, è necessario qualificare come endogeni tali flussi, evitando di considerarli liberamente attribuibili ai creditori, ma prevedendo un trattamento dei crediti fiscali più vantaggioso di quello destinato ai crediti privilegiati di grado inferiore e a quelli chirografari, che sia al tempo stesso migliore rispetto al soddisfacimento che i crediti fiscali riceverebbero con la liquidazione fallimentare.

Dott. Stefano Guidi

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